CHI SONO

Ho dedicato la maggior parte della mia vita alla cura dei corpi e l’ho fatto, per quanto possibile, con metodi naturali, atti non tanto a sopprimere i sintomi ma a riattivare le difese dell’organismo nella loro complessità e globalità.

In 50 anni di professione medica, ho praticato, in vari momenti, le cure convenzionali, l’agopuntura, l’omeopatia, la fitoterapia… alla ricerca della metodica migliore, più veloce e più efficace.

Riflettendo a ritroso, tuttavia, non mi è facile bocciare alcuna di queste metodiche. Oserei dire che ogni approccio medico è valido, dipende da modo in cui si applica, dall’entusiasmo e dalla convinzione del medico. Ricordo che quando lavoravo, nei primi anni settanta, in Patologia Medica, all’Università di Verona, nel reparto del professor Ludovico Antonio Scuro, lui spesso mi affidava i suoi pazienti privati o i casi più difficili, dicendomi : “ Bianchi, lei guarisce con lo sguardo selvaggio !”. In effetti selvaggio era ilo mio entusiasmo, incrollabile il mio ottimismo… sempre.

A distanza di tanti anni, nulla è cambiato, quando sono di fronte ad un paziente, indago il suo animo, cerco di capire ciò che non dice, scavo nel profondo, alla ricerca del nucleo di base che tiene accesa la malattia e poi mi scaglio sul problema, con veemenza. Se scatta la scintilla dell’empatia, il paziente si sblocca e si apre alla terapia, che viene ottimizzata dal rapporto medico-paziente che si crea.

Ovviamente la malattia organica, il danno tissutale, necessitano del farmaco, ma quest’ultimo agisce se il paziente lo recepisce. Io dico spesso : è il medico che deve curare, ma è il paziente che deve guarire. Il ruolo del malato non è passivo ma deve essere attivo.

Ho notato sempre che alla fine della visita, la frase di incoraggiamento e spesso un abbraccio, sugellano in maniera importante la terapia stessa. In tutti questi anni mi sono convinto che la malattia origina sempre sul piano spirituale, passa poi sul piano psicologico, quindi su quello endocrino che condiziona la reattività immunologica, che, alterandosi apre la strada alla malattia che viene dall’ambiente esterno o dalla predisposizione genetica interna. Se si cura solo l’ultimo piano, quello tissutale, la malattia poi ritorna, talora in un altro organo, con il permesso di un sistema immunitario ed endocrino squilibrato.

Se la malattia ha preso piede discendendo dallo spirituale al tissutale, l’unico modo per curarla veramente è fare, pazientemente, un percorso inverso. Nelle ultime due tappe di tale cammino non servono i farmaci.